Retail e innovazione: 3 errori comuni e come i brand possono evitarli
I negozi ricorrono sempre più a soluzioni innovative tecnologiche per sopravvivere, anche se non tutti hanno ancora trovato la chiave giusta per coniugare luogo fisico e spazio digitale.
I negozi cercano di ricorrere a soluzioni tecnologiche innovative per sopravvivere, eppure nel 2017 6.400 store hanno chiuso. Per affrontare la Digital Disruption in questo mercato occorre evitare gli errori più diffusi. Eccone alcuni, con relative best practice di chi ha capito come gestire l’innovazione
Molti negozi fisici stanno ricercando nuove soluzioni tecnologiche per fronteggiare la Digital Disruption, dall’utilizzo di dispositivi ad uso dei commessi agli specchi a realtà aumentata fino a device che promettono di “leggere la mente” dei clienti, ma finora la ricerca non ha dato i risultati sperati. Nel 2017 hanno chiuso 6.400 store. Evidentemente ancora i negozi non hanno trovato la chiave giusta per coniugare luogo fisico e spazio digitale. Perché? I motivi possono essere vari. In questo articolo di RetailTouchPoints, l’autore, Lukasz Szostak, un digital executive esperto di retail, illustra tre comuni errori che i brand fanno quando tentano di usare la tecnologia per innovare la customer experience. Più alcuni suggerimenti e best practice per evitare di cade nell’errore.
ERRORI NEL RETAIL: 1) ADOTTARE UNA COMUNICAZIONE A SENSO UNICO
Il tradizionale consumer marketing non funziona più come un tempo. I clienti vogliono che i retailer li conoscano perfettamente e si aspettano una shopping experience personalizzata, sia online sia all’interno dello store. Spesso però, quando un brand adotta una nuova tecnologia, ingaggia una comunicazione a senso unico con il cliente. Dovrebbe invece saper ascoltare e apprendere dai clienti stessi.
Per esempio una ricerca ha dimostrato che i Millennials non amano fare acquisti nei luoghi dove ci sono le scale mobili. Abituati a risposte veloci e a dare un preciso valore al proprio tempo libero, preferiscono evitare di andare da un piano a un altro in cerca di una merce che poi, magari, non è reperibile. Da un’altra ricerca è emerso che nelle librerie le vendite aumentano se si dispongono i libri a faccia in su, in modo che la copertina sia visibile al potenziale lettore. Questo naturalmente ruba spazio negli scaffali, eppure, non a caso, Amazon ha deciso di posizione i volumi in questo modo nei propri store fisici.
La chiave per instaurare con il cliente una comunicazione a due sensi sono i dati: i recenti progressi nell’area della personalizzazione e del content targeting sono stati fatti grazie anche ai dati raccolti presso i touch point. Il fine ultimo è garantire al cliente un’esperienza personalizzata.
ERRORI NEL RETAIL: 2) FRAINTENDERE IL RUOLO DEGLI INNOVATION HUB
I grandi brand spesso sono troppo strutturati per poter procedere con efficacia sulla strada dell’innovazione. Alcuni preferiscono attuare strategie di open innovation, “dando in appalto” l’innovazione all’esterno, e in particolare alle startup. Altri preferiscono aprire Innovation Hub e investire notevoli somme di denaro in questi centri. A volte, però, il risultato non è quello atteso, perciò molti di questi hub chiudono o si ridimensionano. Secondo Tendayi Viki, founder di Benneli Jacobs, società di consulenza strategica, “molte persone che lavorano negli innovation hub tendono a confondere innovazione con creatività. Tanti hub sono pensati per ‘spremere succo creativo’ dalle persone che vi lavorano, ma in pochi mirano invece a ricercare e individuare modelli di business profittevoli per le idee che sono state generate”.
In sostanza nel laboratorio di innovazione deve confluire il lavoro di coloro che vogliono raggiungere l’obiettivo comune in modo più veloce ed efficace. Non deve essere un gruppo separato che si limiti a funzionare come un “centro di idee”.
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ERRORI NEL RETAIL: 3) “NON DARE UN VALORE AGGIUNTO AL CLIENTE”
Molti brand ancora lottano per guadagnarsi l’interesse e la fiducia dei loro clienti, in modo che non abbiano problemi a condividere informazioni personali. Sono pochi i retailer che, in ambito social, mobile e sui canali web, applicano la vecchia regola: “Dare, dare, dare e solo dopo prendere”. I clienti che non ricavano valore aggiunto dalle loro relazioni con i brand tendono a essere meno fedeli.
In questo caso Nike può essere considerata una best practice. Sulle 10 app dell’Apple Store di Nike, solo due sono focalizzate sul prodotto e sulla commercializzazione. Le altre otto includono app per il fitness, app formative, pacchetti di emoji, ecc. ecc. Mentre si usano le app, Nike apprende informazioni sull’utente, sulle sue abitudini, su dove si trova e mantiene il dialogo con lui. I clienti sono disponibili a scambiarsi informazioni in cambio del valore che ricevono.
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(Di Redazione, EconomyUp.it)