Cosa significa IOT e come e perché così si rende il mondo (e il business) più smart
Grazie alla tecnologia qualsiasi oggetto può diventare connesso e comunicante. Solo in Italia il mercato legato all’IoT è cresciuto del 32% dal 2016 al 2017, arrivando a generare un valore di 3,7 miliardi di euro.
La IoT è intelligenza delle cose ma la storia della Internet of Things affonda in un passato di esigenze e di vision. Sta diventando sempre più evidente che non esiste business che non possa trarre vantaggio dalle tecnologie più smart. Ma cosa significa davvero la IOT e cosa cambia per le aziende?
E' uno dei termini tra i più cool del momento quando si parla di innovazione, digital transformation e disruption, ma che cosa significa Internet of Things, spesso abbreviato in IOT? In sintesi, significa che qualsiasi oggetto può diventare connesso e comunicante, usando un insieme di tecnologie: l’identificazione univoca, la tecnologia wireless e un nuovo tipo di intelligenza software.
Il vero motivo per cui si chiama Internet of Things? Perché è il Web la piattaforma che funge da abilitatore, permettendo lo scambio dei dati e, dunque, delle informazioni tra un oggetto smart e un sistema di gestione smart.
In realtà, il concetto fondamentale della IOT non è legato all’intelligenza delle cose quanto, piuttosto, all’intelligenza dei servizi, associati al potenziale di Internet e a un modello di sviluppo grazie al quale è possibile integrare praticamente a qualsiasi cosa una piccola componente tecnologica dotata di una capacità elaborativa tale da trasformare qualsiasi oggetto in un dispositivo comunicante senza usare cavi. È così che l’oggetto diventa smart, sfruttando l’innovazione digitale associata all’evoluzione mobile, al cloud, ma anche a nuove logiche collaborative che inaugurano un CRM di nuova generazione a livello di tutta la filiera.
Come premesso, infatti, la Internet of Things non è una tecnologia ma un insieme di tecnologie. Un oggetto diventa intelligente quando è dotato di un tag RFID, ovvero un chip che, grazie a una piccola antenna e a un po’ di memoria costruita nel silicio, viene letto da un dispositivo (fisso o mobile) mentre le informazioni gestite vengono elaborate da un software (middleware) che può essere integrato a qualsiasi sistema gestionale (ERP inclusi). Dietro tutta un’infrastruttura di connessioni costituita da sistemi di comunicazione caratterizzati da protocolli diversi a seconda del tipo di servizio attivato.
Quali sono le origini della IOT
Sono in pochi a conoscere la vera storia della Internet of Things. Un tempo, infatti, si chiamava semplicemente… tecnologia RFID. I prodromi? Risalgono all’avvento di una tecnologia associata all’identificazione univoca (Auto-ID) e, in particolare, all’uso di quella RadioFrequency IDentification nata in ambito militare durante la seconda guerra mondiale per aiutare gli eserciti a riconoscere in volo gli aerei amici da quelli nemici. Dall’Identification of Things alla IOT, l’evoluzione tecnologica è costellata di tante tappe intermedie, legate allo sviluppo di una sensoristica diversificata e al progresso dei sistemi di codifica, di lettura e di trasporto delle informazioni attraverso quel wireless che solo con l’avvento del protocollo IP ha portato a una svolta che ha cambiato veramente le regole di ingaggio del business.
Prima della IOT, infatti, c’erano varie branche di ricerca e sviluppo: Auto-ID, Machine to Machine (M2M), Human to Machine (H2M) e Animal to Machine (A2M) da una parte e reti Mems (Micro Electro-Mechanical Systems) dall’altra. A coniare il nome, in realtà, è stato un cervellone del Massachusetts Institute of Technology (MIT).
«Potrei sbagliarmi, ma sono abbastanza sicuro che la frase Internet of Things sia nata come titolo di una presentazione che ho fatto per Procter&Gamble nel 1999 – ha spiegato Kevin Ashton, direttore esecutivo del Centro di Auto-ID del MIT -. Collegare il nuovo approccio RFID della supply chain di P&G con l’argomento, allora rovente, di Internet fu un ottimo modo per attirare l’attenzione dei dirigenti. Credo riassuma un’importante intuizione, spesso ancora fraintesa».
La più grande sfida per la IOT, infatti, non sono tanto le tecnologie quanto le vision necessarie a comprendere come la reingegnerizzazione dei processi legata all’identificazione univoca porti in azienda un’integrazione, una velocità e una trasparenza tali da imporre nuovi regimi di controllo e di efficienza a qualsiasi livello organizzativo. La questione non è tanto se farlo o meno: il passaggio, infatti, è obbligato. Globalizzazione, time to market, competizione e digitalizzazione sono solo alcuni dei driver di una digitalizzazione intelligente che vede la IOT come una piattaforma a cui tutte le aziende, prima o poi, dovranno tendere.
Secondo i dati dell’Osservatorio Internet of Things del Politecnico di Milano, solo in Italia il mercato dal 2016 al 2017 è cresciuto del 32%, arrivando a generare un valore di 3,7 miliardi di euro: una crescita trainata dai servizi abilitati dagli oggetti connessi, che valgono ormai 1,25 miliardi: un terzo dell’intero mercato.
L’ambito IOT a maggior valore in Italia è anche per il 2017 lo Smart Metering che, grazie ai 2,4 milioni di contatori gas intelligenti installati nelle case nel 2017, e alla seconda generazione di contatori elettrici intelligenti raggiunge i 980 milioni di euro (+3% rispetto al 2016).
A breve distanza troviamo la Smart Car con 810 milioni (+47%), grazie anche agli 11 milioni di veicoli connessi a fine 2017, oltre un quarto del parco circolante in Italia (erano 7,5 milioni nel 2016). Al terzo posto le applicazioni di Smart Building (520 milioni), legate principalmente a videosorveglianza e gestione di impianti fotovoltaici.
Perché la Internet of Things aiuta il business
Perché investire nella Internet of Things? Semplice: perché conviene. L’intelligenza computazionale, unitamente a un uso delle tecnologie ultima generazione e a una Internet sempre più capace, ubiqua e pervasiva, oggi abilitano un ventaglio di nuovi servizi, a portata di mano e a portata di azienda.
Integrare le informazioni secondo un concetto di filiera, significa accelerare i processi legati al Big Data Management e potenziare l’uso di quelle analitiche di cui ogni Line of Business (LOB) ha così tanto bisogno per prendere in fretta decisioni strategiche a supporto del business. Gli smart data arrivano dai sistemi intelligenti ma anche e soprattutto, dagli oggetti intelligenti (smart object). Secondo McKinsey Global Institute report, The Internet of Things: Mapping the value beyond the hype (2016), se i governi e le imprese riusciranno a cogliere il valore della IOT, collegando il mondo fisico e digitale attraverso una sensoristica avanzata e nuove piattaforme integrate, entro il 2025 si potrebbe arrivare a generare un valore economico pari a 11 trilioni di dollari l’anno.
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(Di Laura Zanotti, Redazione Digital4.biz)