Virtual Showroom, ora si fa sul serio
Funziona il mix tra immersive tour e servizio. Durante l'emergenza Covid il modello era più simile a quello della televendita, ma ora bisogna riflettere veramente su cosa debba diventare la campagna vendita virtuale, senza però farsi prendere dall'effetto wow.
Durante l'emergenza Covid il modello era più simile a quello della televendita, ma ora bisogna riflettere veramente su cosa debba diventare la campagna vendita virtuale, senza però farsi prendere dall'effetto wow.
La più grande sperimentazione di massa della virtual showroom è partita a luglio con gli ordini della Cruise 21 e delle Spring-Summer 21. Quello che - a causa Covid - abbiamo praticato nella stagione precedente (AI20/21) era il vecchio modo di fare campagna vendita, gestito per necessità da remoto: in assenza di potersi incontrare fisicamente, buyer e venditori si sono collegati via Zoom o Teams, sfogliando davanti allo schermo cataloghi digitalizzati. In questi quattro mesi le aziende si sono organizzate e hanno iniziato a scoprire (grazie a super specialisti e consulenti come Venistar) la vera essenza delle showroom virtuali: la maggiore libertà di azione per tutti gli attori coinvolti, grazie anche alle tecnologie disponibili. Tra realtà immersiva, aumentata o virtuale, la cultura del buying, sempre più mediata da uno schermo, rischia quindi di cambiare radicalmente. Tutti contenti? Sui due fronti della barricata si pesano i pro (molti) e i contro (qualcuno). Tra i buyer comincia a serpeggiare la consapevolezza che d'ora in poi sarà impossibile vivere la vita adrenalinica di un tempo in giro per il mondo, ma il lavoro diventerà più preciso ed efficiente. Per le aziende ci sono i risparmi, certo. Il nuovo modo di progettare le campagne vendita non prevede neppure un campionario fisico (sostituito da uno in 3D) e si potrà lavorare con un diverso approccio alla supply chain, ridurre i costi e le emissioni prodotti dagli aerei, abitualmente utilizzati per andare nelle showroom. Per i visionari dell'innovazione la campagna vendita virtuale "farà sentire il buyer come se fosse veramente presente in un altro luogo con il sales manager". Ma c'è chi ricorda che tutta questa innovazione non deve trasformare le showroom in una sorta di videogiochi, perchè l'obiettivo è vendere, non raggiungere l'effetto wow. E a chi pensa che questa nuova organizzazione finisca per mettere in discussione la figura del sales manager la risposta arriva chiara: "Il toccare con mano i capi e il rapporto vis-à-vis tra cliente e venditore restano fondamentali - dicono in tanti -, ancora di più durante i periodi di emergenza e cambiamento".
Fashion Magazine intervista Antonio Canovese, CX Sales Manager di Venistar.
Ci dica la caratteristica più importante che deve avere una buona showroom digitale...
Semplice: che sia funzionale a portare a termine una vendita. Esattamente come accade con la showroom fisica. In questi giorni si parla moltissimo di 3D, avatar, intelligenza artificiale: tool che garantiscono l'effetto wow e che fanno assomigliare la campagna vendita a un videogioco, ma non bisogna dimenticare che l'obiettivo è che il buyer arrivi alla fine del gioco, ovvero a fare l'ordine. Quindi la tecnologia non deve mai essere fine a se stessa, altrimenti il rischio è creare dei contenitori bellissimi, ma inutili o comunque non in grado di generare valore.
Meglio quindi limitare la sperimentazione?
Assolutamente no: un'azienda non deve rinunciare ad evolvere, ma è importante che si doti di una piattaforma back-end omnicanale, per gestire in maniera veloce e integrata le nuove opportunità offerte dalla tecnologia e dalla proliferazione dei canali phygital. Campionari in 3D, avatar, VR, AR o AI non sono assolutamente delle commodity. Fare atterrare tutta questa innovazione all'interno del sistema aziendale non è uno scherzo, comporta l'inserimento di nuove piattaforme abilitanti e un cambiamento culturale e organizzativo orientato all'innovazione continua.
A quale figura è più giusto affidare il compito di disegnare e immaginare questi nuovi processi?
C'è da augurarsi che top manager lungimiranti mettano in mano questo tipo di progetti a team di giovani professionisti, nativi digitali e con competenze multidisciplinari. Sono loro che hanno le skill per immaginare nuove esperienze di buying (e non solo) all'interno di dimensioni nuove.
Quanto ci vorrà per compiere questa rivoluzione?
Difficile prevederlo, anche qualche anno. Una completa trasformazione virtuale delle showroom deve essere parte di un processo che innovi radicalmente l'intera supply chain. Per fare questo le aziende dovranno avere una loro visione del futuro su cui fondare il nuovo modello di business.
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