Innovazione e monopoli, si passa sempre dal "Via!"
La contrapposizione di monopoli e innovazione si ripropone, oggi, in Cina. Lì, il governo ha intrapreso un’azione per imporre ai giganti nazionali del web lo stop alle pratiche discriminatorie dei link concorrenti e all’interferenza nei servizi gestiti da questi.
In Cina, il governo ha deciso lo stop alle pratiche discriminatorie dei link concorrenti e all'interferenza nei servizi gestiti da questi. I destinatari dell'azione sono i giganti nazionali del web, come Alibaba Group, Tencent, ByteDance, Baidu e Huawei Technologies. Il nuovo equilibrio rientra nelle aspettative degli analisti, che criticano la mancanza di innovazione e competitività indotta dai comportamenti monopolistici dell’ultimo decennio.
La contrapposizione di monopoli e innovazione si ripropone, oggi, in Cina. Lì, il governo ha intrapreso un’azione per imporre ai giganti nazionali del web lo stop alle pratiche discriminatorie dei link concorrenti e all’interferenza nei servizi gestiti da questi.
Monopoli in Cina e “ordine del mercato”
Le ragioni, ufficialmente addotte dal Ministero dell’Industria e dell’Information Technology, sono esplicite: reprimere la concorrenza sleale, consolidare un sistema di mercato aperto per lo sviluppo a lungo termine dell’industria. I monopoli, naturalmente, ne costituiscono un ostacolo. Nel mirino della autorità cinesi, quindi, i colossi tecnologici quali Alibaba Group, Tencent Holdings, ByteDance, Baidu e Huawei Technologies. Annunciando la misura, Zhao Zhiguo, portavoce del Ministero, ha detto che limitare il normale accesso ai collegamenti internet senza una ragione appropriata “colpisce l’esperienza dell’utente, danneggia i diritti degli utenti e disturba l’ordine del mercato“. Tutte le piattaforme, quindi, devono essere sbloccate entro un certo tempo o dovranno affrontare le sanzioni previste dalla legge.
Sembra strano rilevare il problema nella più grande nazione nativamente digitale del pianeta, a cui si devono sostanziali progressi per il mercato tecnologico globale, ma il nuovo equilibrio rientra nelle aspettative degli analisti, che hanno criticato la mancanza di innovazione e competitività causata dai comportamenti monopolistici che si sono affermati nel decennio.
Una “riforma necessaria”
Zhang Yi è il CEO di iiMedia Research Institute, uno delle più importanti società cinesi di analisi del mercato, attiva da Canton alla Silicon Valley. “Dopo 20 anni di crescita rampante, una riforma drastica dell’industria cinese di internet è urgentemente necessaria“. Queste le sue parole, riferite da Global Times, tabloid prodotto dall’organo ufficiale del Partito Comunista Cinese, il Quotidiano del Popolo.
A febbraio, ByteDance, proprietaria della piattaforma Douyin (TikTok, nel nostro Occidente) ha intentato a Pechino una causa contro Tencent, lamentando il blocco, da parte di quest’ultima, della condivisione di contenuti sulle piattaforme WeChat e QQ. In altri casi, le piattaforme e-commerce Taobao e Tmall di Alibaba non permettono di utilizzare il servizio di pagamento WeChat Pay di Tencent come opzione di pagamento.
Per Zhang, i monopoli rendono difficile l’innovazione. Se, agli esordi della rete, la concorrenza tra imprese è stata relativamente equa, con una pratica commerciale rivolta all’acquisizione di nuove e larghe fasce d’utenza, con l’aumento della concentrazione del mercato le cose sono cambiate radicalmente. Permettere i link dei siti rivali, nell’opinione di Zhang, indurrà una scossa positiva che stimolerà nel lungo termine l’innovazione interna, di cui beneficeranno le piccole e medie imprese oggi, di fatto, escluse dalla competizione.
Nello stesso senso vanno le parole di Liu Dingding, altro analista di rilevanza internazionale: “L’apertura e la cooperazione sono i temi principali del nostro tempo. Bloccando i loro rivali, i giganti di internet stanno rovinando le prospettive di sviluppo. Internet non dovrebbe mai svilupparsi nella direzione di una rete locale“.
Tra stato e mercato
La convinzione di Michael Norris, responsabile della ricerca e della strategia presso la società di consulenza Agency China di Shanghai, è che “le crepe forzate nei giardini recintati delle gigantesche aziende online cinesi hanno il potenziale per riscrivere i paesaggi della pubblicità digitale e dell’e-commerce”.
La mossa della autorità cinesi, comunque, sembra far parte di un piano generale di ridefinizione dei rapporti tra stato e mercato, che si è manifestato con particolare forza da un anno a questa parte, quando fu coinvolto in prima persona Jack Ma, il leader di Alibaba. Altri punti del piano potrebbero essere riconducibili al “Programma di prosperità comune”, che tocca da vicino i colossi del mercato digitale cinese.
Una vecchia storia, sempre attuale
Nel maggio 1911, telefono e macchina da scrivere erano scoperte recenti, il mondo non aveva ancora conosciuto gli orrori della trincea, la Repubblica Popolare Cinese era lontana quasi quarant’anni dalla sua fondazione.
Il giorno 15, la Corte Suprema degli Stati Uniti ordinò lo scorporamento della Standard Oil Company di J.D. Rockefeller in trentaquattro società indipendenti, per riparare gli scompensi generati dal monopolio del petrolio. Theodore Roosevelt diede clamorosa applicazione dello Sherman Act del 1890, la prima legge antitrust degli Stati Uniti d’America per limitare i monopoli e i cartelli, affermando il diritto di ognuno a «uguali opportunità nel mercato».
Più tardi, nel mezzo del secolo, il mercato dell’elettronica venne liberalizzato allo stesso modo, rendendo facilmente ottenibili accessibili le licenze d’uso dei brevetti. Nel 1952, AT&T avrebbe brevettato il transistor, progenitore del microprocessore. Il governo americano temeva che le grandi corporations avrebbero ostacolato la diffusione dell’innovazione e obbligò l’azienda a partecipare i concorrenti delle specifiche di progetto e dei criteri di produzione. Ne seguì l’esplosione dell’elettronica di consumo. Pochi anni dopo, fu il turno di IBM, costretta a permettere a programmatori esterni l’opportunità di scrivere programmi per i suoi computer. Ne seguì l’esplosione del mercato del software.
Niente di nuovo sotto al sole, dunque. Il film che si sta proiettando in Cina non è un’anteprima, ma la replica di ciò che è stato proiettato in altri tempi, in altri cinema e con altri operatori, pur se è difficile prevedere gli effetti sul costo del biglietto e le eventuali code al botteghino. “Same old story, same old song”, suonava il vecchio re del blues, B.B. King, nel 1979. Gira e rigira, si passa sempre dal “Via!”, come a Monopoli.
(a cura di Michele Caprini, Gruppo Retex)