Il turismo cinese diventa domestico. E sposta gli equilibri tra i mercati dell’Asia
La volontà di Pechino è quella di mantenere quanta più spesa entro i confini dell’Ex Celeste Impero. Mete di viaggio come Corea, Hong Kong o Macao sconteranno la crescita di Hainan, paradiso duty-free.
La volontà di Pechino è quella di mantenere quanta più spesa entro i confini dell’Ex Celeste Impero. Mete di viaggio come Corea, Hong Kong o Macao sconteranno la crescita di Hainan, paradiso duty-free.
Sarà il turismo cinese a disegnare la nuova geografia asiatica del lusso. Se da un lato la linea imposta da Xi Jinping è quella del rimpatrio dei consumi, con un intenso programma di urbanizzazione per trasformare milioni di lavoratori in abitanti della città ed espandere la classe media cinese (McKinsey prevede che quest’ultima si avvicinerà a 600 milioni di individui in pochi anni), è infatti altrettanto vero che, con la ripresa dei viaggi internazionali, questi consumatori continueranno a tracciare le nuove direttive dello shopping di alta gamma, partendo dalla stessa Asia per poi ritornare, presumibilmente dal 2022, anche in Europa. Intanto, visto il rimpatrio forzato dei viaggiatori cinesi da metà febbraio 2020, secondo i dati della società di servizi finanziari Jefferies, il peso dello shopping interno è salito dal 14% al 37% della spesa totale. Un picco che non resterà isolato, in quanto il 2021 si manterrà sul 36-37%, ipotizzando alcuni viaggi all’interno dell’area Asia Pacific e un aumento della spesa soprattutto nel quarto trimestre.
Di fronte a scenari così dinamici, i player del lusso e del fast fashion stanno rivedendo il proprio retail network in Cina e optano per eventi ad hoc, mettendo al centro le esigenze di un consumatore sempre più consapevole.
UN LUSSO CINA-DIPENDENTE
“Nel 2020 – ha spiegato a Pambianco Magazine Flavio Cereda, managing director luxury equity di Jefferies – oltre il 60% del fatturato del personal luxury ha fatto capo al continente asiatico. Il solo cluster cinese ha rappresentato il 45% della spesa globale di lusso, evidenziando, in un certo senso, la dipendenza del settore da questa nazionalità. Il geo mix delle vendite del 2019, più diversificato, potrebbe non ripresentarsi a breve: in una proiezione al 2022, il peso dell’Asia risulta infatti immutato”. Quanto al turismo, se il ritorno dei big spender cinesi in Europa non è ipotizzabile, in flussi significativi, prima del 2022, i loro spostamenti in Asia potrebbero risentire non tanto delle limitazioni connesse alla pandemia, quanto della volontà dello stesso governo cinese di potenziare le top destination locali.
HAINAN, NUOVO PARADISO DUTY-FREE
“La definizione delle nuove mete dello shopping di lusso nell’intero Far East è oggi in mano al consumatore cinese – ha continuato Cereda -. A ricoprire un ruolo significativo sarà, ad esempio, la provincia insulare di Hainan che il governo cinese vuol far diventare una free trade zone tra le più importanti al mondo (tra gli incentivi più forti c’è una tassazione del reddito al 15%, due punti in meno di Hong Kong e 10 in meno della Cina continentale, ndr) tenendo entro i propri confini quanta più spesa possibile. Se questo progetto va in porto, ne risentiranno Corea, Hong Kong e Giappone, ma anche Macao”. A gennaio 2021, le vendite duty-free ad Hainan sono arrivate a 3,78 miliardi di yuan (circa 485 milioni di euro), in aumento del 143,6% su base annua. Lo ha reso noto la dogana di Haikou, secondo i cui dati i negozi duty-free offshore della regione, famosa per le località balneari, hanno ricevuto circa 509.000 clienti e venduto 5,11 milioni di prodotti durante il periodo, un aumento rispettivamente del 29% e del 146,6% year-over-year. Hainan ha aumentato la quota annuale di shopping esentasse da 30mila a 100mila yuan a persona.
RETAIL IN REVISIONE
Quanto al retail, dal mondo dell’abbigliamento arrivano diversi annunci di revisione del network di negozi fisici, a vantaggio di un presidio digitale. “È indubbio che il digitale abbia grande margine di crescita, così come la presenza sui social asiatici – ha concluso Cereda -, ma, per il lusso, negozi fisici ed eventi fisici resteranno fondamentali anche in Cina. Per i brand del settore, non ha senso essere presenti nelle città periferiche e meno popolose (tier 3) e si può dare per acquisita l’espansione in città tier 1. Ma nella fascia intermedia (tier 2) ci sono aree commerciali e mall che registrano numeri altissimi”.
Diversa la situazione dei player del fast fashion, impegnati in un’auto-selezione degli asset con cui presidiare il principale mercato asiatico. Inditex, ad esempio, ha avviato la chiusura degli store fisici diBershka, Pull&Bear e Stradivariusin Cina, pronta a scommettere solo sulla loro presenza e-commerce. Secondo quanto riferito da Modaes, attualmente, Bershka conta 34 negozi in Cina Continentale, Pull&Bear 37 e Stradivarius 22, ma in passato erano di più. Il gruppo ha infatti iniziato a chiudere i punti vendita fisici dei tre brand già lo scorso anno. Se i marchi di youngwear saranno acquistabili, nell’ex Celeste Impero, solo online, il marchio ammiraglio Zara, così come Massimo Dutti, Oysho e Zara Homemanterranno invece i loro store. Le chiusure di Inditex, riflette la stampa internazionale, riflettono le strategie di risposta della società alla pandemia. Nel 2020 il player di Arteixo aveva dichiarato di voler chiudere i negozi più piccoli, per concentrarsi su quelli di maggiori dimensioni. Entro il 2022 potrebbero essere dismessi fino a 1.200 negozi.
Dal canto suo, anche il competitor Mango si prepara a virare sul digitale, che in Cina avrà un ruolo preponderante rispetto allo sviluppo brick and mortar. Nel 2019 il brand spagnolo si era alleato con il player locale Hangzhou Jingzhe Clothing per sviluppare la propria rete fisica nell’Ex Celeste Impero, aprendo 16 nuovi negozi. Mango andrà a privilegiare lo sviluppo del canale digitale, con il proprio portale affiancato alla presenza su Tmall, in orbita al gruppo Alibaba.
(a cura di Giulia Sciola, PambiancoNews)