Intelligenza artificiale, i consigli di McKinsey per il mercato

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L’intelligenza artificiale pone sfide sia tecnologiche sia culturali alle aziende, per adeguarsi alla digital transformation in atto e per coglierne appieno i benefici.

Qual è lo stato dell’arte della prossima evoluzione tecnologica, che promette di cambiare il volto della società e del business come mai in passato era successo? Nello studio “Artificial Intelligence: The next digital frontier?” gli analisti del McKinsey Global Institute (MGI) analizzano scenari e business case per offrire risposte a diversi settori di mercato.

Partiamo dalla cosa più semplice: cosa si intende esattamente per intelligenza artificiale, una delle buzzword di oggi? Si parla di intelligenza artificiale quando macchine e algoritmi vengono dotati di facoltà cognitive simili a quelle umane; in questo ambito, il machine learning è visto come principale tecnologia abilitante e le applicazioni riguardano i predictive analytics, il marketing customizzato in base alle preferenze dei singoli consumatori, le smart grid per il risparmio di energia elettrica, ma rientrano anche i robot connessi in cloud che lavorano, per esempio, a contatto con il pubblico e temi molto delicati come la cura dei pazienti affetti da malattie gravi grazie all’analisi dei big data. Gli investimenti in intelligenza artificiale sono in aumento. Si stima che alcuni giganti come Google e Baidu (il principale motore di ricerca cinese) abbiano investito tra i 20 e i 30 miliardi di dollari nel 2016 in progetti in questo settore, concentrando il 90% delle risorse in ricerca & sviluppo e il restante 10% in acquisizioni. McKinsey ha svolto la survey Artificial Intelligence: The next digital frontier? su 3.037 manager di aziende sensibili alle tecnologie di AI. Il campione è eterogeneo per distribuzione geografica (10 diversi paesi, dall’Europa, all’Asia, all’America), numero di dipendenti (da 10 a 10.000) e settore (14 vertical differenti, dall’energia al travel & tourism, dalle telecomunicazioni alla salute). Vediamo le principali evidenze.

La differenza tra early adopters e gli altri

I dati evidenziano che solo il 20% delle aziende utilizza sistemi di intelligenza artificiale su larga scala o nel core business, soprattutto a causa di diffidenze sul reale ritorno degli investimenti o di scarsa familiarità con la tecnologia. La survey sottolinea anche un forte gap tra le aziende già decisamente digitalizzate e quelle che invece sono più “timide” verso l’adozione dei nuovi paradigmi tecnologici, mettendo in rilievo che la differenza, anche a livello di risultati economici e d’innovazione è destinata ad accentuarsi. La maggiore adozione di intelligenza artificiale si trova nell’hi-tech, nelle telecomunicazioni, nell’automotive e nei financial services; seguono le applicazioni per il retail, l’industria dei media ed entertainment, i consumer packaged goods; l’education, la salute, il travel & tourism sono invece settori a bassa adozione.

Le sfide all’orizzonte poste dall’AI

L’intelligenza artificiale pone sfide sia tecnologiche sia culturali alle aziende, per adeguarsi alla digital transformation in atto e per coglierne appieno i benefici: tra quelle principali vi sono la necessità di avere un’infrastruttura digitale già solida in azienda, con adeguate quantità di dati per “addestrare” gli algoritmi, e la capacità di analizzare gli stessi dati in modo rapido tramite tool per estrarne il massimo valore. Dal punto di vista culturale, le sfide riguardano invece principalmente la leadership e lo stile di management, per integrare efficacemente la componente umana e quella tecnologica.

In base ai dati della survey (figura 1), l’investimento globale stimato a livello mondiale in sistemi di intelligenza artificiale varia da 26 a 39 miliardi di dollari. Il dato prende in considerazione non solo le attività di ricerca e sviluppo e le acquisizioni da parte dei big player, ma anche il contributo del settore venture capital e private equity, il seed funding e gli investimenti iniziali nelle startup. Più nel dettaglio, un quinto del totale si è dichiarato “adopter”, il 40% ha investito parzialmente o è in fase di sperimentazione perché incerto sui benefici, e altrettanti si dichiarano indecisi. Quello che sembra chiaro è comunque che le tecnologie più innovative trovano prima la propria strada in azienda in quei gruppi che sono già aperti all’innovazione, mentre fanno più fatica negli altri casi.

Esplosione dei dati e innovazione continua

Di fatto, l’esplosione dei dati (si calcola che nel mondo ne vengano prodotti nell’ordine dei miliardi di gigabyte ogni giorno) favorisce l’adozione dell’intelligenza artificiale, che ha un cuore software costantemente affamato di dati per “imparare” e autocorreggersi.

Il modo migliore per iniziare a usare l’AI è quello di accettare la sfida dell’innovazione. Nello studio vi è oltre un centinaio di business case analizzati da questa prospettiva: sono state individuate le caratteristiche comuni delle aziende che hanno deciso di puntare su questa tecnologia e sui robot come vantaggio strategico per la crescita. Tra queste, la competenza tecnologica, il coraggio di impiegare i nuovi sistemi nei processi core, la spinta sulla crescita e l’innovazione piuttosto che sul taglio dei costi, e un forte supporto manageriale. I settori chiave di impiego per creare valore interessano diversi aspetti della value chain: dalla ricerca e sviluppo all’ottimizzazione della produzione, dal marketing personalizzato alla user experience di nuova generazione.

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